LE PAROLE CHE CI MANCANO

Dalla "sostituzione etnica" alla rimozione del colonialismo, perché in Italia è difficile parlare di razzismo

«Ho solo sbagliato le parole, per ignoranza non per razzismo»

Così il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida replica poche ore dopo il discorso all’assemblea del congresso sindacale Cisal dello scorso 18 aprile. Non serve però ricordare la celebre battuta morettiana nel dire che – soprattutto in pubblico – il peso di ogni parola va valutato, studiato e ponderato.

Nanni Moretti in Palombella Rossa, 1989

Le parole sbagliate sono quelle in riferimento alla sostituzione etnica, teoria complottista radicata da anni negli ambienti dell’estrema destra occidentale. L’idea cioè che l’incontro di popolazioni diverse porti alla progressiva trasformazione dei bianchi in una minoranza, con conseguente perdita del privilegio e della supremazia attuale.

In Italia la storia delle parole che fanno riferimento al razzismo, al colonialismo o anche al pluralismo culturale è da sempre complessa, intrecciata con una negazione di fondo che impedisce di creare un vero discorso sull’argomento.

Si pensi all’innocente Calimero, il pulcino nero che andava sbiancato. Federico Faloppa vi ha scritto un intero e interessantissimo saggio, intitolato Sbiancare un etiope (Utet, 2022), proprio per evidenziare come nel nostro linguaggio quotidiano resistano ancora immagini ed espressioni non altro che razziste, ma in modo sotterraneo e non consapevole.

All’Italia e agli italiani mancano le parole e spesso anche gli strumenti per dialogare sulla questione razziale. È questo il presupposto da cui nasce il progetto Sulla razza, un podcast ideato da Nadeesha Uyangoda, Nathasha Fernando e Maria Catena Mancuso, uno strumento per educare ed educarsi sulle parole e le espressioni che caratterizzano l’esperienza delle persone razzializzate nel nostro Paese e non solo. Le parole che ci mancano, come recita l’introduzione stessa dei primi episodi, adesso arrivati alla seconda stagione.

Sulla Razza - Illustrazione di Valeria Weerasinghe

Sulla Razza - Illustrazione di Valeria Weerasinghe

Sulla Razza - Illustrazione di Valeria Weerasinghe

Sulla Razza - Illustrazione di Valeria Weerasinghe

Ascolta qui tutti gli episodi del podcast Sulla Razza

«La conversazione sulla questione razziale in Italia è stata per lungo tempo gestita da persone bianche che non vogliono davvero ascoltare le persone di minoranza etnica, né vogliono prendere parte al dibattito scendendo dal loro piedistallo», afferma a Zeta Maria Catena Mancuso, «perché vorrebbe dire mettersi in discussione.

Questo nel concreto si traduce in un inquinamento del dibattito, dove prevalgono termini degradanti e disumanizzanti, che discriminano, marginalizzano e riducono al silenzio intere categorie di persone che non hanno diritto di replica». Una delle conseguenze è che «assistiamo alla criminalizzazione delle persone in quanto nere o in quanto migranti. Persone che rappresentano una minaccia in quanto tali, il loro esistere sul territorio italiano diventa una minaccia all'identità nazionale».

È in questa minaccia, in questo timore, che trova spazio il discorso sulla teoria della sostituzione, ben più radicata di quanto le scuse del ministro Lollobrigida vogliano fare credere: «Faccio fatica a pensare che espressioni come questa possano essere usate in maniera inconsapevole da chi è al potere – prosegue Mancuso - Sono parte di un linguaggio ben preciso che rimanda a teorie di estrema destra che circolano a livello internazionale e a cui si rifà soprattutto il terrorismo bianco (come l’attentato di Utoya nel 2011 o il massacro di Charleston le 2015, ndr)». Anche quando non è espressa in modo diretto, la sostituzione etnica in Italia è sottintesa da espressioni come invasione di migranti, usate già da anni da Matteo Salvini e Giorgia Meloni e poi riprese dai media.

Proprio il racconto attraverso i giornali e la televisione è l’ulteriore livello di difficoltà da affrontare per parlare di razzismo in Italia. È sufficiente confrontare come le principali testate e agenzie di stampa nazionali ed estere hanno riportato la frase del ministro Lollobrigida.

Cnn, Bbc e Le Monde hanno evidenziato nei titoli la gravità della teoria complottista e razzista citata dal ministro. I nostri giornali, tra cui anche Repubblica, hanno lasciato alle reazioni e ai commenti delle forze politiche opposte il compito di giudicare inappropriato il discorso del ministro, prendendo posizione in modo indiretto.

Le parole di Maria Catena Mancuso aiutano ancora una volta a capire perché: «I media tradizionali e le istituzioni fanno fatica a decostruire narrazioni razziste, anzi spesso le alimentano. Danno spazio a narrazioni di estrema destra senza contestualizzarle e senza svelarne i meccanismi e gli obiettivi».

Qualcosa è cambiato nel 2020, dopo l’omicidio di George Floyd, quando è stato dato più spazio alle voci marginalizzate, ma il vero spazio del dibattito rimane ancora inaccessibile, soprattutto finché la maggioranza nelle redazioni e nelle istituzioni sarà costituita da «uomini bianchi e borghesi che, invece di essere ricettivi su ciò che le minoranze chiedono, alzano muri e si trincerano nelle loro stanze».

A chi scrive e chi legge è richiesto di abbattere questi muri e di riconoscere e circoscrivere l’insieme, ossia un’ideologia conservatrice che penalizza soprattutto minoranze e donne: dai discorsi sulla denatalità a quelli sul rifiuto delle coppie miste (soprattutto donna bianca-uomo nero, lo spiega bene il saggio Femonazionalismo di Sara Farris, Edizioni Alegre) e dalla sostituzione etnica fino al mancato riferimento al violento passato coloniale italiano durante la visita ufficiale in Etiopia della presidente Giorgia Meloni (14-15 aprile 2023).

È un contesto alimentato da ciò che Mancuso definisce «un senso di fragilità e minaccia imminente» nella nostra società, che dà luogo a reazioni spropositate in cui, ancora una volta, a mancare sono le parole giuste.

«Spesso si pensa che la questione del linguaggio sia un fatto lessicale, un dibattito superficiale su temi che non hanno rilevanza nella vita di tutti i giorni, che non risolvono i problemi concreti delle persone» - conclude Mancuso -  «ma tutto ciò che passa dal linguaggio è anche politico: se un italiano nero è sempre un immigrato vuol dire che non posso immaginarmi - o permettere che esista - un italiano che non sia bianco».

La realtà, però, è già oltre e c’è la necessità concreta di imparare i termini in grado di descriverla.